lunedì 9 novembre 2009

E LA PARTITA IVA PRENDE IL POSTO DEL CONTRATTO

dal sito http://www.repubblica.it/, sezione economia


L'ultima frontiera della precarietà si chiama "partita iva". Altro che indice dell'indomabile vitalità imprenditoriale. Qui si parla di co.co.pro.: collaboratori a progetto costretti a diventare titolari di "partita iva" per non perdere il lavoro, anche se precario.

Difficile stimare quanti siano i lavoratori in transizione verso l'imprenditoria forzata, si può ipotizzare che siano decine di migliaia di persone. Si vedrà meglio quando l'Inps renderà pubblici i numeri sui nuovi iscritti al Fondo Gestione Separata. Lì, dati del 2007, le "partite iva" di professionisti non iscritti ad albi o associazioni erano circa 250 mila, 30 mila in più in un solo anno. Reddito medio intorno ai 15 mila euro, poco più di mille al mese. Dai web designer ai grafici pubblicitari; dai redattori delle grandi case editrici ai lobbisti, fino all'antica, tradizionale, segretaria, imprenditrice di se stessa però. Tutti rigorosamente a mono-committenza, cioè fornitori di una sola azienda. Insomma, false "partite iva".

Di certo questo è un altro capitolo della via italiana alla flessibilità, in cui con il concorso della Grande Recessione, l'obiettivo principale di molte aziende è quello di tagliare i costi per provare a sopravvivere.

Il fenomeno non è nuovo, va detto, ma con la crisi è riaffiorato ovunque, nel ricco settentrione terziarizzato come nella indolente area del lavoro para-pubblico romano. Ed è un fenomeno che spinge una categoria già debole ai livelli più bassi della scala della precarietà. "Le partite iva diventano sostitutive dei co.co.pro.", commenta Patrizio Di Nicola, sociologo alla Sapienza di Roma, tra i più attenti studiosi dell'universo magmatico del laoro precario. Questa è la verità.
A compiere il lavoro da atipico a "libero professionista", senza più nemmeno un accenno di diritti e tutele, è ancora la generazione dei trentenni, l'ala marginale del mercato del lavoro. Eppure questo pezzo di knowledge worker, lavoratori della conoscenza, intellettuali moderni, flessibili e innovativi, avrebbe dovuto rappresentare l'avanguardia di una sorta di neo-borghesia in una società post-industriale. Questa, a sua volta, avrebbe dovuto spingere verso un incremento della produttività e arrestare il nostro declino, sfruttando le nuove tecnologie. La realtà è stata diversa e si è tradotta soprattutto in un progressivo e malcelato tradimento nei confronti di una generazione di giovani professionisti.

Si deve essere "imprenditori di se stessi", come si diceva agli albori della flessibilità. Non si è più dipendenti o para-dipendenti, bensì fornitori. Sulla carta. Perchè nei fatti non cambia nulla: stesso stipendio (ma senza contributi), stesso orario, stesso vincolo di subordinazione. Il fornitore non avrà i benefici previsti per i dipendenti, inclusi assicurazioni, pensione, assistenza e altri benefit riservati agli impiegati. Le attività svolte hanno carattere professionale autonomo ma non si configurano come rapporti di lavoro subordinato o di collaborazione.

Secondo Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil: "Sono due le motivazioni principali che spingono in questa direzione: il costo per le aziende che si riduce all'osso e, poi, la totale libertà d'azione sulle partite iva che possono essere lasciate a casa, prima, e riprese, poco dopo".
L'Italia è la patria del lavoro autonomo: il 27% dell'occupazione complessiva, il triplo rispetto alla Danimarca e il Lussemburgo, il doppio rispetto alla Germania, la Gran Bretagna, la Francia e l'Olanda. Ci supera solo la Grecia. Tutto questo, tra l'altro, ha aiutato anche l'anomalia delle partite iva. Si calcola, infatti, che con queste ultime le aziende risparmino circa il 25% rispetto a una contratto di collaborazione e oltre il 33% rispetto a un contratto di dipendenza.

1 commento:

  1. La c.d. flessibilità, sarebbe meglio dire precarietà, del lavoro giovanile é fenomeno a tutti noto e che evidentemente si é aggravato con l'attuale crisi economica, che secondo qualcuno, che non si sa bene dove viva, sarebbe ormai un lontano ricordo del passato. Chi la pensa diversamente o é un inguaribile pessimista o, ancor peggio, é affetto da gravi problemi psicologici. Tutto questo non mi sorprende né mi sorprendono le astuzie di molti nostri imprenditori; ciò che mi lascia molto perplesso é che tutti sanno e nessuno interviene. Mi riferisco all'attuale classe politica e a quella che l'ha preceduta e alle grandi organizzazioni sindacali che parlano tanto e fanno poco o niente.

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